NUNCA MAIS = MAI PIU’

Mai più accada  che navi come la Prestige navighino nei nostri mari, mine vaganti, vecchie, fatiscenti, insicure, di vecchia costruzione, prive dei più elementari dispositivi di sicurezza, con un equipaggio impreparato ed inadeguato.  Che questo ennesimo disastro ambientale contribuisca a far adottare ai singoli paesi ed agli organismi sovranazionali, in Europa e nel mondo, norme più severe in materia di trasporto di petrolio ed altre sostanze pericolose.

LA CRONACA

Il 13 novembre 2002, durante un tempesta, nella nave petrolifera Prestige – registrata in Liberia e con bandiera delle Bahamas, 100.000 tonnellate di stazza, monoscafo, carica, in quel momento, con 77.000 ton di petrolio – si apre una breccia di 50 metri mentre si trova a 28 miglia delle coste della Galizia, proprio di fronte al capo di Finisterre; la nave si inclina di 45° ed inizia a disperdere il carico.   Il giorno dopo le prime chiazze di petrolio cominciano ad arrivare sulla costa.   Per 6 giorni la nave, con i suoi motori e trainata da rimorchiatori naviga lentamente verso nord/ovest e poi verso sud continuando a  perdere petrolio dalla sua carena squarciata.  Si calcola che 4000 tonnellate siano già uscite e interessino 150 km di costa.  Il 17 novembre la Comune della Coruña dichiara lo stato di allerta proibendo tutte le attività pesca nella zona.

Il 19 novembre il Prestige si spezza due a 133 miglia da Finisterre e si inabissa a 3.600 di profondità, da dove non potrà più essere recuperata.  Fuoriescono altre 11.000 tonnellate di petrolio. Una parte del petrolio viene sospinta sulle coste; un’altra, sospinta dalle correnti e dal forte vento, si espande verso est, si frammenta in macchie minori e va a lordare grandi aree della costa Nord della Spagna, giungendo sino alle coste francesi.  Il tempo pessimo di quel periodo e i forti venti aggravano l’effetto devastante.  Anche le navi uscite per aspirare il petrolio trovano difficoltà ad operare per le condizioni del mare.

Dopo due settimane l’inquinamento riguarda già 400 km di costa; in questo periodo sono stati recuperate solo 3.000 tonnellate in mare e 5.000 a terra.  La macchia principale di 11.000 tonnellate naviga a circa 15 miglia al largo di Finisterre.

Dopo 3 settimane si stima  che le navi abbiano recuperato 7.000 ton. e a terra 2.500.  179 spiagge della Galizia sono interessate; 18 di queste sono dichiarate “gravemente inquinate”.  Una flotta di circa 1000 pescherecci galiziane si mobilita per frenare quanto possibile l’ingresso del petrolio dentro le grandi rias.

Dopo 4 settimane la marea negra raggiunge la Cantabria e il País Vasco, minacciando la Francia e il Portogallo.  Le spiagge galiziane contaminate salgono a 183, e inoltre 42 in Asturias e 34 in Cantabria; si raccolgono 8.200 ton, nel mare e 2.176 sulle spiagge.  Circa 10.000 volontari lavorano nelle spiagge della Galicia. L’ Esército è mobilitato con 7.000 uomini. Indagini sul fondo confermano che dalla nave inabissata continua a fuoriuscire 125 tonnellate di petrolio al giorno, 80 dalla zona de prua e 45 dalla zona di poppa.  Secondo le prime stime sono fuoriuscite 17.000 tonnellate e 60.000 sono racchiuse nello scafo a 4.000 metri di profondità.  E’ completamente paralizzata l’attività di pesca, di coltivazione e raccolta di crostacei.

Questa ennesima sciagura viene inizialmente sottovalutata dal governo nazionale spagnolo e dal governo della Galizia.   Non si comprende la portata del disastro, o forse si vuole minimizzare l’allarme sociale, anche per evitare ricadute  negative sul turismo.  Si tenta di accreditare l’ipotesi che le acque fredde dell’oceano bloccheranno sul fondale la fuoruscita del petrolio.  Nei primi giorni vengono addirittura rifiutati aiuti offerti da altri paesi. Fatto sta che gli interventi partono in ritardo, quando ormai gran parte del petrolio si è depositato sulle coste: gran parte dell’intervento viene di fatto delegato alle migliaia di volontari accorsi dalla Spagna ed anche dall’estero.

Durante il mio cammino (maggio e agosto 2003) ho visto, nei posti di mare, persone in tuta bianca che, la mattina presto, passavano nelle spiagge per recuperare brandelli di alghe o altri oggetti portati dal mare macchiati di petrolio.   Sulla spiaggia di San Natolin (Asturias orientali) ho visto una squadra di 5 persone che, in tuta, guanti di gomma, occhiali e mascherina, raschiava ad uno ad uno i sassi macchiati e depositava la pasta catramosa (il chapapote) in secchi.  Non era sporca solo la superficie della spiaggia perché il petrolio era penetrato negli strati sottostanti.   Le spiagge apparivano pulite anche se, mi è stato detto, sotto lo strato superficiale di sabbia è nascosto spesso uno strato di chapapote.   Non ho potuto verificare lo stato della costa, prevalentemente rocciosa.

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